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Il concetto Business as usual non è più un’opzione per il nostro sistema agroalimentare. Siamo urgentemente chiamati a passare da un consumo di massa lineare a un’economia agroalimentare circolare – il che significa cambiare la cultura del cibo, nei vari processi con i quali il prodotto agroalimentare dalla terra arriva al consumatore. Il coinvolgimento dell’intera filiera del food system, con un approccio sistemico, che guardi alla filiera come un insieme di relazioni, interazioni e interdipendenze per riprogettare i flussi di materie e risorse, è chiaramente esplicitato nelle recenti strategie europee Farm to Fork e Green Deal, di cui il Circular Economy Action Plan è uno dei principali pillar. Tali politiche mettono in evidenza l’esigenza di un cambiamento nei comportamenti di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del cibo che deve avvenire collettivamente, con una governance congiunta a livello locale, nazionale e internazionale, attraverso l’adozione un mix di misure – formazione, incentivi fiscali, certificazioni e misure di circolarità, finanziamenti agevolati, ecc. – che siano finalizzati ad avere un impatto sulla resilienza e sostenibilità dei sistemi agroalimentari.
Occorre dunque investire in modo strategico sul binomio vincente della circolarità dei sistemi agroalimentari abilitata dalle tecnologie digitali. Ma quali sono i principi di fondo di una strategia circolare?
Abbiamo il piacere di parlare di "La circolarità del cibo: strategie e modelli di business" con:
Ilaria Ricotti:
Certo sicuramente l’aspetto più importante è quello di non focalizzare l’app solo come una app di scontistica perché non è la sua mission e non è assolutamente quello che vogliamo lasciare ai nostri utenti. Per cui ci stiamo impegnando tramite il movimento a portare avanti diverse campagne di sensibilizzazione che possono essere sia quelle che impostiamo attraverso i nostri profili social piuttosto che attraverso le nostre properties. Se voi date un’occhiata ai nostri profili social non troverete i classici input commerciali ma è tutto un profilo volto alla sensibilizzazione e volto alla ricettazione, ai consigli anti spreco e a come lo spreco alimentare impatti sulle risorse naturali. Per cui quello è sicuramente un primo immediato modo in cui andiamo ad impattare. Ovviamente il movimento si rifà di diversi progetti molto più strutturati quindi andiamo a portare avanti all’interno delle scuole webinar, andiamo a portare avanti giornate dedicate e a stimolare anche proprio iniziative che vengono fatte nelle mense piuttosto che a casa degli alunni e soprattutto in Italia all’interno del 2021 ci siamo concentrati su questo patto contro lo spreco alimentare che è un’ unione virtuosa di aziende di terzo settore di organizzazioni dei consumatori che attraverso cinque pilastri cercano di ridurre lo spreco alimentare soprattutto tramite azioni concrete. Una campagna che ci tengo particolarmente a portare all’attenzione su cui Too Good To Go ha molto investito e che è stata lanciata ufficialmente in 11 Paesi dell’Unione Europea con l’obiettivo di portarla in tutti i Paesi dove Too Good To Go è presente è quello dell’etichetta consapevole. Lo scopo è di andare a spiegare meglio il significato del “da consumarsi preferibilmente entro” che troviamo sul pack dei prodotti. Infatti l’errata interpretazione dell’etichettatura intesa come data di scadenza “tmc” quindi “termine minimo di conservazione” porta al 10% dello spreco alimentare a livello europeo. Andando a consapevolizzare e puntare l’attenzione dei consumatori su questo andiamo a ridurre una fetta molto importante dello spreco domestico. In poche parole Too Good To Go è andato ad aggiungere con i partner che hanno aderito questa ulteriore dicitura in etichetta che dice “spesso buono oltre, osserva, annusa, assaggia” nei prodotti con il “tmc” quindi “da consumarsi preferibilmente entro” che non sono date di scadenza perentorie ovvero che dopo quella data il consumatore potrebbe avere dei problemi di salute, ma sono delle date di qualità entro la quale il bene avrà il 100% delle proprie caratteristiche intrinseche, ma oltre quella data può essere comunque consumato magari è un pochino meno saporito, magari non ha più lo stesso profumo ma può essere consumato tranquillamente e sta al consumatore attraverso i propri sensi capire se piace oppure no. È una campagna che in Italia abbiamo appunto lanciato a giugno e abbiamo già più di 10 milioni di prodotti con questa etichettatura aggiuntiva sul mercato italiano e andremo ad ampliare insomma questa iniziativa sul 2022.
Ilaria Ricotti:
Al momento abbiamo ampliato attraverso anche questo patto contro lo spreco nell’altro verso quindi sulla parte diciamo industriale, su quei beni rimasti a magazzino dalle aziende che non arrivano nel negozio non arrivano alla GDO per X motivi. Abbiamo iniziato in seguito al primo lock down perché molte aziende che lavoravano con l’HORECA ovviamente avevano i magazzini pieni di cibo che sarebbe stati altrimenti sprecati. Quindi adesso stiamo lavorando con tante aziende per recuperare tramite il modello di TGTG anche questi beni rimasti a magazzino. Sicuramente interessantissimo sarebbe andare a lavorare nel campo agricolo che soprattutto in Italia oltre essere fondamentale ha uno spreco alimentare che può essere combattuto in qualche modo e che sicuramente sarebbe interessante andare ad affrontare. Per ora non abbiamo piani certi però è sicuramente interessante andare anche a valle della filiera e capire come aiutare aziende agricole piuttosto che anche il piccolo contadino a combattere lo spreco alimentare.
Tiziana Monterisi:
Sì io sono veramente convinta che il modello di business può essere replicato in altri ambiti e con altre risorse. Sempre per fare un caso del territorio ovviamente il tessile che è l’altra parte di Biella ha anch’esso tantissimi scarti. La grande difficoltà e mettere in relazione settori molto diversi. La nostra grande difficoltà di RiceHouse è stata i primi anni riuscire a far dialogare l’agricoltore con gli industriali del riso che sono già due mondi completamente diversi con quello dell’architettura. Ecco credo che uno dei grandi lavori sia l’interconnessione proprio di diversi settori…lo scarto delle vinacce diventa un materiale tessile, la buccia della mela un eco pelle (adesso sto veramente fantasticando). In realtà che ho conosciuto e che ho incontrato sono veramente convinta che il modello di business sia nel mettere in connessione diversi settori che oggi non comunicano. Ci sono categorie di settori che vanno solo per la loro categoria, oggi l’economia lineare non funzionando più deve interagire con gli altri. E anche in termini di modello di business il fatto di riuscire a mettere a sistema realtà artigiane e industriali esistenti sul territorio e in Italia perché la visione di industriale quindi…metto un impianto faccio un business plan da 10 milioni di euro quanti prodotti devo vendere per rientrarci? Credo che in questo momento non sia così efficace per ottenere quel risultato di non farci sommergere dalla più grande onda di quelle che ci hai ben mostrato in quella vignetta.
Oggi ci sono tantissimi impianti produttivi già presenti in Italia che possono essere riconvertiti o meglio ottimizzati perchè non producono più le quantità banalmente di 15 anni fa di 20 anni fa. Credo che sia un altro importante elemento sul quale gli economisti e gli ingegneri gestionali che mettono insieme insomma un po’ i business plan e le visioni strategiche debbano prendere in considerazione. Abbiamo tante risorse in diversi punti di vista che possono essere messe a sistema per ottenere un risultato più immediato perché sappiamo tutti che mettere una nuova fabbrica per produrre anche un prodotto sostenibile oggi in Italia intanto ha un rientro magari a quanti anni? 10, 20? E quanto tempo ci vuole per mettere un nuovo impianto?
Quindi sicuramente quello che noi abbiamo cercato di fare e che io credo possa essere replicato in altre dinamiche è proprio quello di valorizzare il territorio cioè quale risorsa ho a disposizione, quale risorsa in termini di impianti industriali ho a disposizione e se con poco posso fare dei piccoli aggiustamenti che mi permettono veramente di essere sul mercato con un prodotto sostenibile ad impatto decisamente inferiore.
Nadia Lambiase:
Grazie per la domanda, si focalizza sulla questione e l’importanza del cambio di mindset culturale e per farlo appunto noi ci costituiamo come un soggetto ibrido e prediligendo la dimensione tecnologica come ho detto ma anche il teatro. Il teatro aiuta a cambiare postura, noi diciamo: “l’economia circolare innanzitutto è un esercizio di postura.” Tu hai citato la navicella come navicella spaziale del 1966. Quello è un esercizio di postura. Io guardo la Terra da un altro punto di vista. Solo se riesco a mettermi da lì e capire che siamo un sistema chiuso che scambia energia ma non materia e che cosa significa questo…io vedo nuove visioni, apro scenari metto in discussione, faccio domande. Allora un altro esercizio che facciamo teatralmente proprio dalla linea al cerchio la gente in linea che cosa vedi? La testa di chi mi sta di fronte. Mi metto in cerchio che cosa vedo? Le facce di tutti i miei compagni. Che cosa significa cambiare visione? Perché cambio postura? Allora è necessario anche questo. Il corpo deve essere molto presente, la mente, la tecnologia. La parola ibrido alla fine è proprio quello che ci caratterizza e vediamo che fare questo spostamento è necessario perché poi il cuore si apre e la mente incuriosita dice “ok fammi capire di più”. E allora da lì si può partire per anche dare nozioni tecniche. Quindi per noi è un po’ questa la sfida del processo che facciamo.
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DFE è un ecosistema che mette a disposizione della filiera agroalimentare una specifica e distintiva capacità di innovazione digitale, completa per approccio, metodi, strumenti e tecnologie.